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Il Tamburo Parlante - Musei etnografici
Musei etnografici

Che senso ha oggi, in Italia, alla fine del millennio, aprire un nuovo museo etnografico sull'Africa? Rispondere a questa domanda fu la prima sfida di quest'iniziativa concepita in collaborazione con la Consulta all'immigrazione della Regione dell’Umbria. Etnografia - studio e documentazione sulle etnie, i popoli altri da noi, - è parola desueta, che rinvia a polverose sale con vetrine sovraccariche d'oggetti e male illuminate. I musei etnografici nacquero in effetti a fine Ottocento per raccogliere gli oggetti che esploratori, missionari e commercianti portavano in patria come testimonianza diretta di un primo, spesso effimero, contatto con popoli lontani. Il colonialismo, nato anch'esso in quegli anni, trovò nell'etnografia un potente alleato nell'ansia di dominio sul mondo. L'etnografia a quei tempi divideva gli uomini in razze, più o meno evolute, secondo il grado di tecnologia raggiunto, testimonianza del quale erano i medesimi oggetti che andavano riempiendo le vetrine dei musei. Essa offriva al nascente colonialismo una giustificazione all'espansione dell'Occidente, permettendo di nascondere gli interessi commerciali e di dominio politico, dietro altisonanti motivi di civilizzazione ed evangelizzazione, da perseguirsi attraverso la lotta alle barbarie e allo schiavismo. Negli anni '50 la maggior parte delle ex-colonie raggiunse l'indipendenza, e nei paesi occidentali decine di musei etnografici vetusti perdevano la ragione d'esistere per la quale erano stati creati; anche la scienza antropologica dovette rifondare la propria visione del mondo, abbandonando definitivamente l'evoluzionismo culturale, con il suo corollario di funeste ipotesi razziali. I musei etnografici di tutto il mondo hanno, in questi ultimi anni, rielaborato modelli espositivi in modo da permettere ai visitatori di avvicinarsi alla complessità culturale dell'umanità rispettandone le differenze: gli oggetti nelle mostre etnografiche sono per lo più i medesimi che servivano un tempo a sostenere le ipotesi coloniali, l'evoluzionismo e il razzismo, ma il senso che si vuole dare alle esposizioni è stato ribaltato radicalmente. Oggi la museologia contemporanea è giunta a considerare tutti i musei, e quelli etnografici più che mai, come palcoscenici dove gli oggetti sono chiamati a giocare il ruolo consono all'impostazione scientifica proprio della direzione del museo, con buona pace ai miti di una presunta oggettività del pensiero scientifico. Ribaltare il senso delle esposizioni ottocentesche all'interno dei musei etnografici permette ai visitatori, e soprattutto i più giovani tra essi, di avvicinarsi all'Altro, al diverso, con il rispetto che sempre è dovuto a tutte le culture, che, nella loro diversità, costituiscono la ricchezza dell'Umanità. Gli oggetti e le immagini presentati nel Museo vogliono offrire al visitatore l'Africa e gli africani di oggi, proponendo una riflessione critica sui pregiudizi che ancora percorrono la nostra società. Ma presentare una cultura, anzi più d'una, provenienti da paesi la cui superficie è pari a circa dieci volte quella dell'Italia, attraverso qualche centinaio d'oggetti e qualche foto potrebbe sembrare velleitario. Infatti non abbiamo la pretesa di una illustrazione completa neanche d'una sola di esse. Come potremmo d'altra parte rendere anche parte della loro complessità? No, lo scopo del Museo è soltanto quello di suscitare l'attenzione per i produttori di questi oggetti, avvicinarli a noi, esplorando la varietà di soluzioni ai problemi della vita quotidiana che essi hanno attuato. Non ponendo l'accento sulle differenze culturali che ci separano, noi europei da loro africani, vogliamo sottolineare al contrario quanto le scelte culturali di società lontane siano simili alle nostre, le loro preoccupazioni analoghe, i conflitti e i modi escogitati per risolverli coerenti con i nostri.